Pesci, casette per uccellini e lampade, tessuto a stampe floreali e giapponesi, tessuti naturali e sete preziose…terra, mare cristallino e vento l’artigianato e la creatività arrivano dalla sardegna questa settimana, vi presentiamo Cou.Cou.Ja

Chi c’è dietro a cou.cou.ja?
“Cou.cou.ja è una bimbetta vivace e terribilmente chiacchierona che trascorre i giorni sotto il cielo blu di una bella isola al centro del mediterraneo. Da qualche lustro in qua quella bimba chiassosa e confusionaria s’è accorta di avere una manciata di centimetri in più, una dignitisissima e contenuta chioma argentea in sostituzione delle piccole code rossicce di un tempo, un esasperante ed esasperato marito entusiasta della vita, un bimbetto a propria immagine e somiglianza, ossia vivace e terribilmente chiacchierone (è la legge del contrappasso).”

Cosa significa il nome del vostro brand è una parola sarda, vero?
“In una terra riscaldata dal sole e scompigliata dalle fredde folate di maestrale, tra le onde del mare blu e il be-beee delle pecorelle, sopra il frastuono delle grandi città e nel silenzio delle pietre dei nuraghi, si sente ancora parlare una lingua antica che chiama “cucuia” la mandorlina non ancora matura.
Nel pieno rigoglio degli anni Settanta, tra pantaloni a zampa, stampe optical e zazzere cotonate, “cucuia” era anche il delizioso vezzeggiativo con cui donne e uomini di casa festeggiavano i rari momenti di quiete – e silenzio! – della logorroica frugoletta.
Senonché gli anni passano e le passioni crescono.
Così, distorcendo un poco la grafia, quel nomignolo tanto grazioso è diventato un acronimo francofilo di passioni profonde: cou.leurs, cou.ture e ja.poneserie (ma tu continua a leggere “cucuia”!).”

Raccontaci come e quando è nato il vostro progetto di produzione di oggetti fatti a mano
“Con la nascita di un cou.cou.baby, la spunta delle infinite gioie materne si è felicemente arricchita della voce “uso/abuso della prole nella pratica di sperimentazioni sartoriali”, tanto più esaltante quanto meno, specie in età neonatale, la cavia potesse opporre resistenza.
Così inizialmente mi sono dedicata anima e corpo al servizio di una immane, ma necessaria impresa: svestire orde di bimbi infelici degli ancor più infelici panni monocromi, rigorosamente ripartiti per sesso (ohibò, il cromatismo di genere!), che i più conoscono sotto la denominazione di grembiuli scolastici della prima infanzia; da lì una neppure tanto rapida incursione nel settore “camice maestra”, perché, parliamoci chiaro, se i bimbi piangono a causa delle loro tristi vesti, le maestre non ridono di certo, cinte come sono di candide divise simil-ospedaliere; poi un interesse prossimo alla nevrosi maniacale verso gli accessori del pianeta di cucciolandia: bavaglini, copri-libretto pediatrico, quaderni prima infanzia, sacchi nanna, completi culla …
E poi, in un batter di ciglia, eccoti cou.cou.baby trasformato in cou.cou.junior.
Archiviate le pappe, i biberon, i ciucci, insomma tutto quanto necessario a sopravvivere senza (troppi) danni alla travolgente esperienza neogenitoriale, si punta la rotta verso Oriente, lì dove soffia una brezza leggera che racconta di fiori di pruno e rami di ciliegio, di motivi iconografici dalle antiche geometrie, di tessuti naturali dai colori naturali, di forme semplici di un’eleganza commovente.
La passione per il Giappone riempie il cuore e la testa: e, volendo dare casa al cucu simbolo del marchio, le birdhouse, nella leggiadria del mero oggetto déco, si vestono in japan style senza, per questo, rinunciare a raccogliere dovunque e comunque i più disparati spunti di ispirazione improvvisando un tuffo nel mare…
ah, già, il mare…e i pesci!
È bastato scendere dai monti (eh, perché qui, da noi, ci sono anche le montagne… sì, insomma, colline, ma alte, alte colline!), partecipare ad un evento espositivo fortuitamente fissato il primo giorno di aprile, per farsi sedurre dal fascino delle ricorrenze navigando a vele spiegate nell’oceano senza fondo delle associazioni d’idee: sono nati così i cou.cou.ja’s fish, grandi, grandissimi o piccoli, piccolissimi, in scatola e no, appesi alle pareti o adagiati su letti, divani, tappeti, fauna atipica di case – e proprietari – dalla forte personalità.”

Chi cuce, incolla e costruisce i vostri prodotti?
“Riflettendoci su, più che di una cou.cou.ja, si dovrebbe parlare di una cou.cou.ja’s family. Il fatto è che da sempre, fin da quando, ancora verdina, morbida e vellutata, la tenera mandorlina esprimeva i primi, incerti vagiti, il cou.cou.jesco coniuge ha sostenuto e arricchito di personali e guizzanti interpretazioni la fase progettuale fino ad aggiudicarsi (ed autoinfliggersi) l’onere della lavorazione e realizzazione dei manufatti lignei di cui si compone buona parte della produzione, recuperando così, da adulto (pure un pelo attempatello, diciamocelo!), le buone pratiche di bimbo cresciuto a pane e “Fare e Costruire” dei Quindici.
Per di più, dato che in casa cou.cou.ja non si butta via niente, l’esperienza da ingegnere – consumata nel quotidiano tra le mura di uno studio assai poco poetico e per niente colorato, ma solo illuminato dalla luce spettrale delle lampade al neon – trova nuova linfa nella progettazione CAD della linea déco.
Da parte sua, cou.cou.ja propriamente detta è e rimane regina incontrastata di ago, filo e macchina da cucire, con interessanti e non troppo veloci divagazioni nel settore della pittura, tinteggiatura, scartavetratura e incollaggio, nonché (rispolverando la pratica di editor di una vita fa) autrice, e colpevole, dei testi astrusi e troppo prolissi.
Quanto a cou.cou.junior, responsabile del controllo qualità (ché, se una cou.cou.ja sopravvive ai suoi maneggiamenti, supera il test col massimo del punteggio!), modello recalcitrante e non troppo paziente dei surreali set fotografici, costituisce un’inesauribile e preziosa fonte di idee nuove e pure un tantino azzardate che, foglio e pastello alla mano, mai manca di fissare su carta a beneficio di una coppia di genitori piuttosto duri di comprendonio.”

La scelta dei materiali quanto tempo vi porta via e quanto ci vuole per creare queste splendide casette o i cuscini, raccontateci il dietro le quinte del vostro lavoro creativo manuale.
“Per usare una metafora cinematografica, Holly sta alle luccicanti vetrine di Tiffany, come il team cou.cou.ja sta al monitor del pc, fulgente di splendidi tessuti provenienti dalle più disparate regioni del globo terracqueo. E così, nello spazio di un click, una città di provincia diventa l’ombelico del mondo. Certo, la scelta non è facile, tanto più che le possibilità sono tante, troppe, spesso fuorvianti. Sono le gioie e i dolori dell’universo parallelo del web: apri una finestra, che apre una finestra, che apre una finestra, che apre… Ma succede anche che, quando stai per naufragare tra i burrascosi marosi virtuali, si palesa tra le onde un’idea, un tratto, una combinazione di colori e forme da farti strabuzzare gli occhi. È così che abbiamo conosciuto Insunsit, potevamo dunque rinunciare alle sue stampe? L’acquisto su TheColorSoup si è concluso con la stessa prontezza con cui si afferra una ciambella di salvataggio.
A questo punto, quando gli occhi e la mani si riempiono di tanto preziosi tesori, quando la gioia di scovare il materiale giusto ti fa fremere di entusiasmo manco fossi la reginetta al gran ballo delle debuttanti, i confini spazio-temporali si annullano e le ore, i giorni (e le notti, quante notti?!) passati a tagliare, imbastire, cucire, risvoltare, appiattire, imbottire, definire dettagli con la pittura manuale, sagomare il legno, rifinirlo e dipingerlo, incollare, assemblare… e chi se li ricorda più?!”

Progetti futuri pre-natalizi?
“Illuminare d’immenso!
Nel mese di settembre è nata la prima cou.cou.lamp: la birdhouse di sempre, ora non solo rivestita di tessuto ma anche finemente traforata al laser a riprodurre i motivi tanto cari dell’iconografia giapponese, si trasforma in lampada da parete, ma anche lampada da tavolo e applique. L’obiettivo è di intensificare la produzione diversificando le stampe e i colori, modificando, e combinado, le texture.
E, a proposito di combinazioni, che ne pensate di dare finalmente vita all’idea delle idee, il very big fish sardo-giapponese (ché cou.cou.ja viene dalla Sardegna, l’avevo detto?), accoppiando i pattern giapponesi alle geometrie tipiche della tradizione tessile della mia terra? Certo semplice non è: si tratta di disegnare e poi stampare un tessuto creato per l’occasione: e chi può farlo se non TheColorSoup?”
Noi accettiamo la sfida di produrre nuovi tessuti sardo-nipponici 😉
Grazie Francesca per averci raccontato la sua storia, siamo rimasti affascinati dalla tua parlantina e dalla bambina che è rimasta in te! Continuate così siete una famiglia veramente speciale 😉
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